Dimora del tempo
Critica
Giovanni Scagnoli ha costruito nel tempo a Sarnano, in riservatezza e solitudine, il proprio hortus conclusus dove ha investito il suo abitare personale. Qui, tra il giardino, la casa e lo studio una stessa volontà formale trascorre e si confonde senza soluzione di continuità tra il “dentro” e il “fuori”, a partire dalla scoperta sempre uguale e sempre nuova della natura nel giardino. Nel 2003 con “EXTRANET FLASH. Aforismi nell’angolo segreto”, evento multimediale realizzato nella sua casa in Contrada Vecciola, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Macerata e il Comune di Sarnano, Scagnoli aveva affermato con forza l’intenzionalità di legare la sua ricerca al territorio.
L’artista lavora sulle materie e i materiali, sempre in sottile sfida tra il naturale, l’artificiale e il tecnologico; lavora con forme “primarie”, manipola simboli e significati per creare nuove identità scultoree in cui prevale la dimensione installativa di appropriazione dello spazio. A Gualdo, nella Dimora del tempo, ripropone la tematica di fondo del suo lavoro – il ciclo vitale e il rinnovamento della vita – attraverso connessioni ad alta densità simbolica con forme e materiali dalla valenza archetipica che richiamano costantemente alle polarità dell’esistenza: luce-buio, terra-cielo, bene-male, morte-vita. Una rigenerazione attraverso l’intervento artistico che investe di senso e di significato la materialità degli elementi producendo l’apparire di “qualcosa d’altro”.
Nei tre piani della Torre, luogo del tempo misurato qui contraddetto, si svolge una narrazione che sperimenta un tempo dilatato, distorto dalla sua esattezza meccanica e assunto nella connotazione psicologica dello stato d’animo, del ricordo e della proiezione creativa.
La struttura a croce del piano terra rappresenta l’orientamento del soggetto in rapporto ai punti cardinali e in rapporto a se stesso; essa ha una struttura sia centripeta che centrifuga e nel suo significato ascensionale si lega al simbolo del ponte e della scala. I colori sono fluorescenti, il legno è trattato con inchiostro bianco iridescente per creare spessore e vibrazione luminosa di superficie. I segni incisi con la punta metallica d’argento sono in realtà una fitta tessitura della sua firma ripetuta, autografia esistenziale e in quanto tale discontinua, impronta soggettiva della mano che traccia il segno, rivelatrice della pressione che il soggetto attiva con gli altri e con l’ambiente di vita. Dall’apertura-fenditura-taglio del centro della croce, di gommalacca rossa come il fuoco e come il sangue, tra fumi di vapore parte un raggio laser verde che va a battere sul pendolo di pietra arenaria con cui si imprime il movimento al meccanismo dell’orologio. Il richiamo è al mondo arcaico e al tempo naturale misurato dal Sole nel suo apparente moto periodico che origina l’alternanza giorno notte.
Dalla croce un lento incedere degli insetti, che rappresentano le paure istintive dell’uomo, prosegue lungo i pioli di una vecchia scala di legno – oggetto trovato e contributo positivo del caso – che dà al piano superiore. Scala e scorpione fanno parte del lessico dell’artista e sono presenti anche in altre opere, l’una con il significato di ponte verso il cielo, l’altro nel suo duplice aspetto mortifero notturno e nello stesso tempo simbolo di sacrificio e abnegazione. Alla base della scala un cesto di grano poggia su cerchi concentrici e genera la luce che illumina i pioli dove gli insetti proseguono la loro processione ascensionale culminante in cima con un uovo d’oro.
Al primo piano una serie di opere evocano la materia in trasformazione. Ricorre la simbologia biomorfa del seme-conchiglia-vulva e le forme primigenie ovaloidi che sviluppano una vita intrinseca analogamente a quella della natura, colte con l’effetto di sospensione consueto nelle sue opere. Il fungo, l’albero/nube, l’alveare/nido sono “veri” ma trattati con pigmenti diversi e foglia d’oro per ottenere effetti materici di mutazione e richiamare la morfologia dei tessuti organici, placentari, cerebrali, polmonari, mentre le lastre specchianti restituiscono immagini deformate. Accadono anche dei piccoli “miracoli”, come l’apparizione dell’ologramma dello scorpione che in realtà sfrutta il principio scientifico della camera oscura all’origine della fotografia.
Il tempo è originato dalla trasformazione della materia, in un universo che restasse assolutamente immobile e identico non ci sarebbe alcun tempo, la percezione del tempo è la consapevolezza che la realtà di cui siamo parte si è materialmente modificata: non invecchiamo perché il tempo passa ma il tempo passa perché invecchiamo. Nei tracciati di segni in cerchi concentrici, come nel tronco degli alberi, possiamo riconoscere una progressione numerica da 1 a 94: gli anni di suo padre, che gli ha insegnato tutto della terra, delle piante, degli animali e della vita.
Il passato si fa studiare, vedere, immaginare, attraverso le testimonianze, i monumenti, i documenti, le architetture, gli oggetti, le fotografie e i film; si fa misurare attraverso i fenomeni di accrescimento della natura, la datazione delle rocce, la produzione del carbonio 14, la racemizzazione degli amminoacidi nelle ossa, la fissione spontanea dell’uranio 238, fino al fotone di Plank e al bosone di Higgs. Ma più i sistemi di misurazione diventano scientificamente avanzati, assicurandoci la possibilità di quantificare intervalli dalla brevità inconcepibile e allungando storia in modo stupefacente fino quasi al Big Bang iniziale, più il tempo sfugge alla stessa possibilità di solo pensarlo.
Al piano superiore una luce rossa avvolge il meccanismo dell’orologio ormai irradiato di una nuova sostanza spirituale che così rigenerato, trasfigurata l’inflessibilità del meccanismo, opera una traslazione verso l’esterno proiettando due raggi laser rossi che fuoriescono dalla torre per agganciare visivamente la chiesa e il palazzo pubblico, riunificando così tempo sacro e tempo profano come nelle antiche cosmologie.
L’artista a suo modo, un po’ scienziato un po’ mago, dalla postazione finita del suo perimetro esistenziale instaura tra Terra e Cielo un dialogo intimamente e profondamente religioso.
Loretta FABRIZI
Docente dell’Accademia di Belle Arti di Macerata
L’artista lavora sulle materie e i materiali, sempre in sottile sfida tra il naturale, l’artificiale e il tecnologico; lavora con forme “primarie”, manipola simboli e significati per creare nuove identità scultoree in cui prevale la dimensione installativa di appropriazione dello spazio. A Gualdo, nella Dimora del tempo, ripropone la tematica di fondo del suo lavoro – il ciclo vitale e il rinnovamento della vita – attraverso connessioni ad alta densità simbolica con forme e materiali dalla valenza archetipica che richiamano costantemente alle polarità dell’esistenza: luce-buio, terra-cielo, bene-male, morte-vita. Una rigenerazione attraverso l’intervento artistico che investe di senso e di significato la materialità degli elementi producendo l’apparire di “qualcosa d’altro”.
Nei tre piani della Torre, luogo del tempo misurato qui contraddetto, si svolge una narrazione che sperimenta un tempo dilatato, distorto dalla sua esattezza meccanica e assunto nella connotazione psicologica dello stato d’animo, del ricordo e della proiezione creativa.
La struttura a croce del piano terra rappresenta l’orientamento del soggetto in rapporto ai punti cardinali e in rapporto a se stesso; essa ha una struttura sia centripeta che centrifuga e nel suo significato ascensionale si lega al simbolo del ponte e della scala. I colori sono fluorescenti, il legno è trattato con inchiostro bianco iridescente per creare spessore e vibrazione luminosa di superficie. I segni incisi con la punta metallica d’argento sono in realtà una fitta tessitura della sua firma ripetuta, autografia esistenziale e in quanto tale discontinua, impronta soggettiva della mano che traccia il segno, rivelatrice della pressione che il soggetto attiva con gli altri e con l’ambiente di vita. Dall’apertura-fenditura-taglio del centro della croce, di gommalacca rossa come il fuoco e come il sangue, tra fumi di vapore parte un raggio laser verde che va a battere sul pendolo di pietra arenaria con cui si imprime il movimento al meccanismo dell’orologio. Il richiamo è al mondo arcaico e al tempo naturale misurato dal Sole nel suo apparente moto periodico che origina l’alternanza giorno notte.
Dalla croce un lento incedere degli insetti, che rappresentano le paure istintive dell’uomo, prosegue lungo i pioli di una vecchia scala di legno – oggetto trovato e contributo positivo del caso – che dà al piano superiore. Scala e scorpione fanno parte del lessico dell’artista e sono presenti anche in altre opere, l’una con il significato di ponte verso il cielo, l’altro nel suo duplice aspetto mortifero notturno e nello stesso tempo simbolo di sacrificio e abnegazione. Alla base della scala un cesto di grano poggia su cerchi concentrici e genera la luce che illumina i pioli dove gli insetti proseguono la loro processione ascensionale culminante in cima con un uovo d’oro.
Al primo piano una serie di opere evocano la materia in trasformazione. Ricorre la simbologia biomorfa del seme-conchiglia-vulva e le forme primigenie ovaloidi che sviluppano una vita intrinseca analogamente a quella della natura, colte con l’effetto di sospensione consueto nelle sue opere. Il fungo, l’albero/nube, l’alveare/nido sono “veri” ma trattati con pigmenti diversi e foglia d’oro per ottenere effetti materici di mutazione e richiamare la morfologia dei tessuti organici, placentari, cerebrali, polmonari, mentre le lastre specchianti restituiscono immagini deformate. Accadono anche dei piccoli “miracoli”, come l’apparizione dell’ologramma dello scorpione che in realtà sfrutta il principio scientifico della camera oscura all’origine della fotografia.
Il tempo è originato dalla trasformazione della materia, in un universo che restasse assolutamente immobile e identico non ci sarebbe alcun tempo, la percezione del tempo è la consapevolezza che la realtà di cui siamo parte si è materialmente modificata: non invecchiamo perché il tempo passa ma il tempo passa perché invecchiamo. Nei tracciati di segni in cerchi concentrici, come nel tronco degli alberi, possiamo riconoscere una progressione numerica da 1 a 94: gli anni di suo padre, che gli ha insegnato tutto della terra, delle piante, degli animali e della vita.
Il passato si fa studiare, vedere, immaginare, attraverso le testimonianze, i monumenti, i documenti, le architetture, gli oggetti, le fotografie e i film; si fa misurare attraverso i fenomeni di accrescimento della natura, la datazione delle rocce, la produzione del carbonio 14, la racemizzazione degli amminoacidi nelle ossa, la fissione spontanea dell’uranio 238, fino al fotone di Plank e al bosone di Higgs. Ma più i sistemi di misurazione diventano scientificamente avanzati, assicurandoci la possibilità di quantificare intervalli dalla brevità inconcepibile e allungando storia in modo stupefacente fino quasi al Big Bang iniziale, più il tempo sfugge alla stessa possibilità di solo pensarlo.
Al piano superiore una luce rossa avvolge il meccanismo dell’orologio ormai irradiato di una nuova sostanza spirituale che così rigenerato, trasfigurata l’inflessibilità del meccanismo, opera una traslazione verso l’esterno proiettando due raggi laser rossi che fuoriescono dalla torre per agganciare visivamente la chiesa e il palazzo pubblico, riunificando così tempo sacro e tempo profano come nelle antiche cosmologie.
L’artista a suo modo, un po’ scienziato un po’ mago, dalla postazione finita del suo perimetro esistenziale instaura tra Terra e Cielo un dialogo intimamente e profondamente religioso.
Loretta FABRIZI
Docente dell’Accademia di Belle Arti di Macerata