Extranet flash
Critica
Extranet-flash. Aforismi nell’angolo segreto
<<Lascia l’isola tua tanto diletta / lascia il tuo regno delicato e bello, / Ciprigna dea, e vien sopra il ruscello / che bagna la minuta e verde erbetta>>. Così Lorenzo il Magnifico, nelle Selve d’Amore, evocava l’incanto della natura con l’invito rivolto a Venere e al suo seguito a stabilirsi in quei luoghi. Il giardino è il luogo dove i neoplatonici dell’Accademia fiorentina, nell’intreccio conflittuale di purezza, sensualità, gioia, malinconia, rigore – cui sovrintende Amore e Bellezza – identificavano la loro casa ideale.
Giovanni Scagnoli ha costruito nel tempo a Sarnano, con riservatezza e in solitudine, con “segretezza”, il proprio hortus conclusus dove ha investito tutto il suo “abitare” personale. Qui, tra il giardino, la casa e lo studio una stessa “volontà” formale trascorre e si con-fonde, senza scala di ordine valoriale e senza soluzione di continuità, a partire dalla “scoperta” sempre nuova – e sempre uguale – della natura nel giardino. Il “lessico” del giardino continua nelle forme delle cose che circondano la vita dell’artista e della sua famiglia, negli arredi della casa così come nelle opere, rivelando una costitutiva unità semantica, l’idea di un “venire alla luce” – in cui prende forma ciò che dentro la “caverna” è oscuro e privo di senso – che appartiene al dispositivo trasfigurativo dell’esperienza estetica (Luisa Valeriani).
Niente è casuale o spontaneo, sebbene lo sembri, tutto è frutto di una scelta e di sapienti accorgimenti che assecondano le spinte naturali, le modificano quel tanto che basta o le lasciano alla loro spontanea generazione. In una relazione affettiva tra l’artista che “sente” le cose e le cose che impongono le loro “ragioni”. Ecco allora che il più piccolo particolare è studiato nel dettaglio: dalle ramificazioni degli alberi, alla natura e forma dei cespugli e delle siepi. Dall’acqua trasparente e pura, movimento e vita che si rinnova, <<specchio per l’immagine di chi voglia riflettersi e riconoscersi>> (Andreina Griseri), alle installazioni naturali che vanno interpretate oltre la poetica “poverista” ma che rimandano, invece, alla storia personale dell’artista e all’universo mentale di quel mondo contadino dal quale proviene la gente di questo nostro territorio marchigiano. Allora si può riconoscere nell’artista le abilità, le competenze diversificate e i valori positivi dell’antico contadino – come lo era suo padre – che con “cura” e ingegnosità faceva fronte alla quotidiana lotta per il sostentamento: tutto questo non solo è commuovente ma indica anche una strada percorribile per la “sopravvivenza” all’interno del mondo globalizzato, per affrontare il presente attraverso il radicamento nel passato. E infatti la ricerca dell’artista non si ispira solo alla terra ma è legata anche allo sviluppo delle nuove tecnologie mentre sembra abbracciare, nell’insistita meticolosità degli atti vissuta quasi come una pratica meditativa, la mentalità orientale di cui la passione per la motocicletta, che rimanda a un testo classico dello Zen, è un ulteriore indizio.
Il giardino è dunque lo spazio dove si riconosce la propria casa, la prima casa di ogni uomo, in cui si può ancora ritornare e dove le Muse, maestre delle tecniche, guidano il lavoro dell’artigiano e dell’artista. Luogo dove il lontano e l’esotico vengono riconosciuti nel vicino e familiare presente quotidiano, nel succedersi delle stagioni, nel variare degli elementi: come per Claude Monet a Giverny la “grande natura” si identifica con il giardino che si fa scenario naturale della poesia.
Loretta Fabrizi
<<Lascia l’isola tua tanto diletta / lascia il tuo regno delicato e bello, / Ciprigna dea, e vien sopra il ruscello / che bagna la minuta e verde erbetta>>. Così Lorenzo il Magnifico, nelle Selve d’Amore, evocava l’incanto della natura con l’invito rivolto a Venere e al suo seguito a stabilirsi in quei luoghi. Il giardino è il luogo dove i neoplatonici dell’Accademia fiorentina, nell’intreccio conflittuale di purezza, sensualità, gioia, malinconia, rigore – cui sovrintende Amore e Bellezza – identificavano la loro casa ideale.
Giovanni Scagnoli ha costruito nel tempo a Sarnano, con riservatezza e in solitudine, con “segretezza”, il proprio hortus conclusus dove ha investito tutto il suo “abitare” personale. Qui, tra il giardino, la casa e lo studio una stessa “volontà” formale trascorre e si con-fonde, senza scala di ordine valoriale e senza soluzione di continuità, a partire dalla “scoperta” sempre nuova – e sempre uguale – della natura nel giardino. Il “lessico” del giardino continua nelle forme delle cose che circondano la vita dell’artista e della sua famiglia, negli arredi della casa così come nelle opere, rivelando una costitutiva unità semantica, l’idea di un “venire alla luce” – in cui prende forma ciò che dentro la “caverna” è oscuro e privo di senso – che appartiene al dispositivo trasfigurativo dell’esperienza estetica (Luisa Valeriani).
Niente è casuale o spontaneo, sebbene lo sembri, tutto è frutto di una scelta e di sapienti accorgimenti che assecondano le spinte naturali, le modificano quel tanto che basta o le lasciano alla loro spontanea generazione. In una relazione affettiva tra l’artista che “sente” le cose e le cose che impongono le loro “ragioni”. Ecco allora che il più piccolo particolare è studiato nel dettaglio: dalle ramificazioni degli alberi, alla natura e forma dei cespugli e delle siepi. Dall’acqua trasparente e pura, movimento e vita che si rinnova, <<specchio per l’immagine di chi voglia riflettersi e riconoscersi>> (Andreina Griseri), alle installazioni naturali che vanno interpretate oltre la poetica “poverista” ma che rimandano, invece, alla storia personale dell’artista e all’universo mentale di quel mondo contadino dal quale proviene la gente di questo nostro territorio marchigiano. Allora si può riconoscere nell’artista le abilità, le competenze diversificate e i valori positivi dell’antico contadino – come lo era suo padre – che con “cura” e ingegnosità faceva fronte alla quotidiana lotta per il sostentamento: tutto questo non solo è commuovente ma indica anche una strada percorribile per la “sopravvivenza” all’interno del mondo globalizzato, per affrontare il presente attraverso il radicamento nel passato. E infatti la ricerca dell’artista non si ispira solo alla terra ma è legata anche allo sviluppo delle nuove tecnologie mentre sembra abbracciare, nell’insistita meticolosità degli atti vissuta quasi come una pratica meditativa, la mentalità orientale di cui la passione per la motocicletta, che rimanda a un testo classico dello Zen, è un ulteriore indizio.
Il giardino è dunque lo spazio dove si riconosce la propria casa, la prima casa di ogni uomo, in cui si può ancora ritornare e dove le Muse, maestre delle tecniche, guidano il lavoro dell’artigiano e dell’artista. Luogo dove il lontano e l’esotico vengono riconosciuti nel vicino e familiare presente quotidiano, nel succedersi delle stagioni, nel variare degli elementi: come per Claude Monet a Giverny la “grande natura” si identifica con il giardino che si fa scenario naturale della poesia.
Loretta Fabrizi